COME LIBERARE LA VOCE NATURALE?  La voce è ciò che di più carnale possediamo. Liberare la voce vuol dire liberare la persona e ogni persona è un’indivisibile unità di mente e corpo. Ciò che blocca o altera la voce naturale in modo più percettibile sono le tensioni fisiche; nello stesso tempo la nostra voce patisce l’effetto di blocchi emotivi, intellettuali, uditivi e psicologici. Si può lavorare sulla voce per superare gli ostacoli di natura psicofisica, che quando rimossi, aprono un varco alla Voce Naturale, cioè quella voce capace di saper comunicare l’intera gamma delle emozioni umane e qualsiasi sfumatura di pensiero.
L’uomo può parlare grazie alla conformazione anatomica della laringe. Ciò che produce il suono è la vibrazione e la contrazione delle corde vocali, eccitate dal flusso aereo proveniente dai polmoni (in fase di espirazione). Successivamente il suono viene modulato da diversi organi che costituiscono il tratto vocale sopralaringeo, costituito principalmente dalle cavità nasali e dalla bocca.
Questa modulazione è una delle attività più complesse ed evolute dell’essere umano, che attinge ai suoi ricordi, al bagaglio esperenziale appreso e memorizzato, alle emozioni, ai pensieri. Insomma alla parte più evoluta dell’insieme sinergico cervello-mente. E’ tutta l’operazione che richiede perfezione. La comunicazione per essere compresa richiede un coordinamento di tutti i componenti del tratto vocale sopralaringeo. Poi il cervello deve decidere una lettera piuttosto che un’altra simile, decisione che viene elaborata in una frazione addirittura millesimale di secondo. Quindi deve dedicarsi alla semantica, anche se non ne conosce l’esistenza: uso dei termini, disposizione delle parole nella frase, ritmo delle pause e del respiro.
Non si può fare un’analisi del linguaggio corretta senza regredire all’esperienza del respiro, alla gestualità stessa del linguaggio, all’esperienza della nascita con la prima esperienza della voce, al grido, che è in risposta al bisogno che è questione di vita e di morte: bisogno, fitta, voce, risposta, sopravvivenza.

Ciò che si manifesta nei fenomeni e muore nella luce è il mondo noumenico del “suono”, nel quale anche l’accidente delle sonorità svanisce e sole restano le Madri. Le Madri che tessono silenti le materie del mondo. Là il suono rivela il suo vero essere che è il potere di attrazione, la forza ordinatrice che lo apparenta al mondo dei numeri. Il costituirsi delle masse, il differenziarsi delle materie è l’aspetto cosmicamente rilevante e silente del suono. Su ogni corpo luce e suono sono posti come un sigillo: luce e massa. Il sigillo delle porte da cui ogni materia viene ad essere e da cui svanisce. Infatti non solo luce e massa si trasformano l’una nell’altra, ma sono fine e origine di ciò che proviene dalla spirito e allo spirito torna, sono i passaggi attraverso cui diviene sensibile il tessere e disfare delle Madri.

“La voce è legata alla matericità, ai suoni in cui essa si costituisce, la voce di cui parliamo è una voce che cerca espressività selezionando fonti, motivata al farsi ascoltare, che rende attiva una presenza” (Carlo Serra)

Esistono diversi metodi per lavorare sulla voce. Esattamente come si lavora sui muscoli, possiamo imparare a lavorare fisicamente e psichicamente alla scoperta della nostra Voce Naturale. 

Parlare significa giocare con il corpo dell’altro tanto quanto pronunciare una parola è come toccare un tasto sul pianoforte dell’immaginazione.

Tragitti materici

Laboratorio di lettura scenica

Messina 6/7 dicembre 2014

Mater Vitae e Officina Teatro LMC

 

tragitti-materici

mater vitae – Tragitti Materici

Officina Teatro LMC nelle figure Enzo e Alma parte per un’ altra avventura. Il viaggio si presenta molto tranquillo, il tempo è mite come la cifra di questa giornata. Ci fermiamo a Catania per prendere contatti con Nicoletta per la performance del giorno 20 dicembre, il rito della luce nel solstizio d’inverno, Fiumara d’arte. A Catania sbagliamo strada, ci perdiamo ma alla fine stabiliamo un contatto. Un contatto? Andiamo via perplessi, forse non vale la pena. Ripartiamo, il sole sull’autostrada e De Andrè “ottocento novecento mille scatole d’argento fine settecento ti regalerò….”.

Alle 13.30 in perfetto orario a Messina, percorriamo per due volte la strada adiacente al mare per ritrovare casa di Francesca e la casa sul mare che ci ospiterà questo week-end.

Francesca ci viene a prendere, un abbraccio forte dopo tanto tempo di attesa, abbiamo parlato tante volte di questo laboratorio e della mia venuta a Messina.

Non ci sembra vero, lasciamo la macchina e la mia valigetta a casa di Francesca, mangiamo qualcosa in compagnia della sua famiglia e poi via, verso la casa sul mare, la casa che non si vede. Scendiamo delle piccole scalette e già dai primi gradini si ha la sensazione di scendere in un posto segreto, c’è una grande porta, non si suona un campanello ma ci si annuncia con lo sbattere di un grande anello di ferro e l’insegna Mater Vitae. La sensazione è quella di tornare indietro nel tempo, quasi in un ‘altra epoca. Ci apre Antonio che ha uno sguardo dolce. Attraversiamo un piccolo cortile pieno di bonsai e piante grasse, oggetti di pietra, un Cristo vicino all’entrata; posiamo le scarpe all’ingresso, tutto ha un so che di sacro, le porte hanno un aspetto da fiaba. Abbandoniamo tutte le nostre cose, PC, scheda di memoria, microfono, leggii di cui non faremo uso. Si parte sempre con una piccola traccia del laboratorio ma in realtà sono poi gli allievi a costruire il percorso. Una casa sull’acqua con dentro una fontana, oggetti di culture differenti, sembra esserci tutto il mondo e tutto è poggiato con un determinato senso. Campane al silicio e campane tibetane di diversa forma, cuscini colorati, cristalli, c’è un bianco costante assieme alla musica del mare, sarà per questo che abbiamo usato pochissima musica anche nel laboratorio. Arriva Giovanna che Francesca ci presenta come una fata. Non si sbaglia, Giovanna ricorda la fata turchina con la casa sull’acqua di Pinocchio, questi occhi azzurri e trasparenti come acqua, vestita di bianco. Ci rifocilla subito con tisane particolari da lei create con cura e biscottini. Cominciano ad arrivare i partecipanti, ognuno viene accolto da questa grande madre leggera come farfalla.

Gabriele e Francesca li conosciamo già, Barbara è già conosciuta da Enzo, e poi Renato, Natalie, Matilde, Mia, Gianluca e Giulia.

Nella stanzetta ci accomodiamo in maniera pseudo-circolare, qualcuno si siede sul divano, altri per terra su grandi tappeti.

Enzo si presenta parlando della ricerca di Officina Teatro LMC, della sperimentazione sulla voce, sul corpo, sul suono, sulla pre-espressione ed in particolare si sofferma proprio sull’incontro tra suono e vocalità, e su come lavorano i suoi attori. Poi si presenta Alma mettendo in evidenza l’importanza del teatro nella vita di un attore e la potenza trasformativa di un percorso teatrale. Ad uno ad uno si presentano gli altri parlando delle aspettative, del perché hanno deciso di partecipare ad un laboratorio di lettura scenica.

Matilde, afferma di voler stare bene e di aver deciso di essere lì un po’ alla scoperta di se stessa;

Renato, per poter presentare i suoi progetti stimolando l’immaginazione e per avere un completamento posturale della propria voce ;

Francesca, perché per lei la voce è importante;

Mia, per vedere cos’è, ha sempre fatto tanti sacrifici per leggere essendo dislessica ;

Gabriele, per impostare meglio la propria voce, ama leggere poesie e vorrebbe migliorare;

Barbara, è lì per fare un’esperienza di ricerca, dà molta importanza all’espressione, si chiede cosa accade quando il suono esce e quanto sia un bene che sia istintivo o controllato;

Gianluca, è incuriosito da qualsiasi esperienza comunicativa e poi gli interessa comunicare bene proprio come Natalie;

Giulia pensa alla comunicazione come una danza.

Enzo riprende i pensieri di ognuno e specifica che quella che andremo a vedere in realtà è una non tecnica e come dalla ricerca di ognuno viene fuori una propria tecnica. Il corpo tramite gli esercizi memorizza. Occorre solo esercizio e disciplina. Il lavoro non è imparare a ricordare come si fa di solito nel teatro classico ma imparare a dimenticare ed ascoltare se stessi. Fare esperienza di sé della propria energia fisica. L’attore deve avere credibilità fisica. E’ la buona energia di ognuno che trasmette e che va consapevolizzata. Questo lo si può ottenere imprigionandosi per poi liberarsi mettendosi in difficoltà, liberandosi dagli automatismi quotidiani, stare nello spazio scenico ogni momento come uccelli che stanno per spiccare il volo e ascoltare quell’istante prima di spiccare, è lì, che si compie tutta l’esperienza attoriale.

Renato chiede come deve essere quel volo, se corto o lungo, se ha bisogno di un grande spazio, oppure no ed Enzo sottolinea che ognuno ha il suo volo il suo modo di spiccare, la cosa importante è dare spazio alle pause che saranno inizialmente dilatate, e poi compresse nello spazio tra una parola e l’altra.

Andiamo agli esercizi, senza fare un momento di training, una scelta registica dovuta all’ambiente che è già training, e alla tipologia del laboratorio.

Ognuno prende un libro e si esercita secondo le indicazioni registiche:

  • Leggere il testo
  • Ricercare i suoni di ogni singola parola
  • Sezionare il testo
  • Rileggere il testo secondo questa prima ricerca effettuata

Mia lavora con la memoria attraverso le parole del testo di una canzone di De Andrè.

Enzo ad occhi chiusi ascolta i suoni, ed interviene per limare, affermando che dirà loro molte cose da non fare e non il contrario.

Sottolinea per esempio come tutti hanno sezionato il testo sì ascoltane il suono, ma come nessuno si sia distaccato dal significato della parola e dal senso compiuto, quindi propone di:

  • Rigiocare con le frasi risezionandole a secondo dei suoni

Renato è stupito del lavoro e fa una battuta simpaticissima ha bisogno di una grande gomma anzi un gommone per scomporre tutto quello che ha fatto in 52 anni

Tutto va nel senso del perdere il senso di ciò che si dice

Mia trova difficoltà, anche perché far perdere il significato a dei versi di una canzone che una persona ha sempre ascoltato in un modo, è ancora più difficile, quindi, decide di raccontarci una filastrocca inventata da lei quando era piccola, e ci delizia con questo lavoro dolcissimo senza senso ma con un suono perfetto.

Enzo racconta del suo lavoro con i dislessici a Potenza e di come in realtà l’attore debba seguire proprio il percorso dei dislessici, quindi la strada del non-sense.

Il dislessico è costretto a trovare dei percorsi alternativi, è già fuori dal quotidiano, e si mette in difficoltà per arrivare dove deve arrivare, non ha uno schema, e questo è esattamente ciò che l’attore deve fare.

Attraversare la difficoltà giocando

Mentre Enzo ascolta i lavori svolti, fa lavorare ognuno su qualcosa. Matilde sul ritmo, Natalie sull’amplificazione della parola, Giulia sul far fluire tutta la frase in un unico suono quindi sul comprimere.

  • Il testo verrà di seguito smaterializzato, ogni sezione un suono, come le singole note del pianoforte.

Ogni attore lavora con l’attore di sé, indossa un personaggio, se lo cuce addosso, non lo interpreta, e il teatro prende forza nell’eliminazione del significato della parola.

Si chiude così la prima parte del laboratorio tra gli sguardi perplessi e stupiti, ci si da appuntamento alla mattina successiva.

Si saluta chi non potrà esserci, come Renato, Natalie e Mia con un po’ di dispiacere per un lavoro iniziato e lasciato così a metà, con la speranza di potersi rincontrare.

Salutiamo questo pezzo di mondo e andiamo a cena.

E’ domenica, i partecipanti arrivano un po’ assonnati ma contenti, non iniziamo la giornata al suono classico delle campane che indicano la messa delle dieci, ma distesi su dei materassini ci lasciamo portare e cullare dal suono magico delle campane al silicio di Giovanna. Sono dei momenti molto profondi di rilassamento, levitazione in altri mondi, distensione, ci rialziamo.

Enzo partendo già da una soglia di rilassamento personale molto alta si sente un po’ in difficoltà.

Si riparte per la prosecuzione del percorso.

Enzo specifica come nel percorso di conoscenza del corpo, giornalmente si possono iniziare ad usare tutta una serie di esercizi, incatenandosi, stando attenti alle azioni compiute durante la giornata.

Nella quotidianità compiamo azioni involontarie che non ci fanno rendere conto di ciò che avviene nel nostro corpo, se ci si imprigiona si possono vedere quanti movimenti e quante azioni si compiono, e ogni singola azione, si può divedere in tante sezioni. In questo modo si acquisisce una tecnica che non è indotta, è un percorso di conoscenza, un attraversamento di sé e delle proprie vibrazioni.

Ascoltare il proprio corpo vuol dire conoscersi e riempire i propri cassetti personali di conoscenza.

  • Esercizio dell’aprire e chiudere gli occhi per ascoltare l’impercettibile movimento del collo

Non tutti riescono a sentire la differenza ma è normale, non siamo abituati ad ascoltarci.

  • Esercizio sulla separazione dal testo distribuendo dei testi già sezionati e dando l’indicazione della ricerca di un immagine per ogni singola parola o frazione di frase

Non esiste un modo per dire una parola esiste solo una variazione fisica ed a seconda di questa variazione la parola verrà detta in un modo o in un altro

  • Esercizio della “passeggiata alla Mostra” , alla richiesta del titolo del quadro si risponde con la frase da pronunciare con dietro tutta la motivazione del come e del perché a quel quadro è stato dato quel titolo;
  • Aspettare che l’immagine arrivi dilatare i momenti ascoltare i silenzi caricare e comprimere l’energia;

Enzo richiama l’attenzione sul fatto che tutti gli esercizi vanno fatti con calma senza fretta aspettando che il titolo arrivi pieno di tutte le motivazioni per far suscitare.

Il teatro è come il corpo umano ogni organo è a se ma tutti insieme permettono un corretto funzionamento quindi gli attori lavorano come lupi solitari ma nello spazio scenico diventano un corpo unico che respira.

Il regista deve motivare per ottenere un risultato, quindi offre al corpo che lavora, un motivo che gli permetta di farlo arrivare a dire la frase nel modo necessario.

Il gioco dell’attore sarà quello di fare e disfare secondo quello che serve.

  • All’interno del quadro fare vedere anche i singoli quadretti soprattutto se la frase è lunga;
  • Ad ogni quadro con il titolo si associa un movimento del corpo;

Barbara si chiede quanto le espressioni facciali siano importanti, e se possono essere considerate un movimento;

Le espressioni facciali vengono e seguono naturalmente il lavoro non si costruiscono nel lavoro dell’attore, tutto dipende dalla motivazione che si trova, da dove ci si trova in quel momento, e da cosa si sta vivendo.

La pausa pranzo ci vede affaccendati attorno ad un tavolo pieno di prelibatezze, una zuppa purificante con il Miso, del riso nero di venere con i funghi e il taleggio, riso con la zucca e semi di papavero, frittata con spinaci e uova bio, da bere tisane al te verde, loving degli scotimahil, tutto preparato con cura nella cucina di dentro e di fuori, dalle mani fatate di Giovanna con l’aiuto di Antonio, mentre noi lavoravamo. Tutto intorno a noi avviene attraverso rituali e questo rende sacro quello con cui si viene a contatto a qualsiasi titolo. Durante il pranzo Giovanna ci intrattiene con racconti di luoghi incontri e modi di essere.

Si riprende nel pomeriggio:

  • Esercizio concentrarsi focalizzare l’immagine compiere il gesto associato studiato nella sezione precedente
  • Soffermarsi ad ascoltare l’energia
  • Trovare il suono
  • Ascoltare tutto quello che c’è prima del gesto skannerizzare il corpo e poi spalmare la parola sul suono come fosse un fotogramma
  • Lavoro sulla pausa più la si allenta meno slancio arriva

Guardando i lavori singoli di ognuno Enzo coglie l’occasione per sottolineare alcuni concetti

Quando il corpo ha consapevolezza il gesto arriva più pulito.

Ogni atto scenico deve essere giustificato, bisogna sempre sapere il perché di una azione di uno spostamento dell’andare verso qualcosa.

Il corpo deve avere consapevolezza.

La spinta di un attore deve essere sempre pensare al contrario:

  • Esercizio a seguire si cercano tre movimenti con la musica sottofondo si ripetono in sequenza continuamente fino a farlo diventare un unico atto scenico
  • Sperimentare cosa accade negli spostamenti e ascoltare
  • la pausa deve diventare impercettibile ascoltare il suono del movimento che si trova con le tensioni del corpo

Da qui singolarmente ognuno recita il proprio lavoro, tenendo quell’energia e quello stato, il tutto viene ripreso con video.

Finito il lavoro dietro gran richiesta Enzo recita un pezzo di novecento di Baricco e chiude così in poesia, teatro e grazia il laboratorio. Salutiamo Matilde Giulia Gianluca con la promessa di rivederci per la prosecuzione del percorso e ci fermiamo a cena da Giovanna.

La notte ha un sapore soddisfatto e sereno.

Di mattina mentre ci scambiamo qualche impressione e gli ultimi abbracci prima di partire, ci rendiamo conto di non aver mai staccato in questi giorni dal luogo ospitante dall’energia e la bellezza di Giovanna e Antonio ma anche dalla freschezza e la luccicanza di Adriana che è comparsa e scomparsa come solo gli adolescenti sanno fare.

Un ultimo sguardo a Villa Giovanna, alla casa di Francesca, e via di ritorno a Trapani. Parliamo dell’esperienza di Officina, di come la prossima volta debba fare quest’esperienza anche Rosalba che comunque ho portato con me.

Prepareremo il diario e il video nell’attesa di ritornare a Messina dai nostri amici.

 

 

 

 Alma Passarelli Pula