BUON INIZIO…2017!

CENTRO STUDI MATER VITAE

U Zammaruni

La Zammara arrivó “nta nostra terra nto”  ‘700 circa . Da noi ‘nto  Missinisi a chimarunu “Zammaruni”.

Ho scelto  un’agave che simboleggia la sicurezza.

“Un simbolo di fedeltà ed amicizia eterna..al culmine del suo splendore crescendo verso il cielo in un alto fusto tenace e forte , finalmente fiorisce di una fioritura spettacolare e simbolica.. e subito dopo muore. Fiorisce una sola volta nella sua vita e muore al culmine della sua bellezza lasciando i semi di tale sacrificio in consegna alla terra , fedele nutrice , che ne farà generosa prole

..Regalare una pianta di agave ad un amico significa considerare il sentimento dell’ amicizia un baluardo sicuro e fermo della propria vita, e manifesta il desiderio di un’amicizia eterna … da rinnovare ad ogni fioritura. 

Come se si desse tutto di se in questo ultimo gesto estremo di fioritura, al pari di un amore in grado di sacrificare la propria vita.

L’agave rappresenta ed incarna il simbolo dell’amore che supera la morte nella trasformazione ideale dell’unità fondamentale, nel ciclo inespugnabile della continuità del ciclo vitale, l’asse del mondo che annulla le differenze collegando idealmente la terra e le sue profondità al cielo

La zammara è  una pianta quasi “Sacra”per le sue caratteristiche il frutto è una capsula “trivalve” ( vedi la “Trimurti” ) oblunga; accanto ai fiori spuntano dei “bulbilli” (piccole piantine già formate che cadendo sul suolo  danno vita a una nuova colonia di Agavi . Il termine generico deriva dal greco “agaué” = la magnifica, la splendente, in riferimento all’eleganza della forma e alla vistosa fioritura. Ma ritornando alla sua “Sacralità”… : la pianta quando è in fiore con il suo stelo che svetta alto  e la sua parte “terrestre” è ( vista di profilo ) a forma di calice, somiglia molto al fior di loto ( per le caratteristiche comuni ) , “Masculina e Fimminina” …..ma ancor di più nella prima fase assomiglia ad un grande asparago … allo “Shiva-Lingam”  : l’Androgino o Ginandro  ( che dir si voglia ) , l’“Unio Mistica”

 

 

LA LEGGENDA DELL’AGAVE IN SICILIA

Gli antichi tronchi tormentati dagli ulivi saraceni, i fichidindia e l’agave hanno da sempre caratterizzato il paesaggio siciliano, molto più di un simbolo.

In Sicilia l’agave la si può trovare ovunque; in una terra dove dominano i colori dai contrasti violenti; il tenue colore verde dell’agave, si inserisce come una pausa riposante.

Il rosso violento della terra riarsa dal sole, il giallo dorato delle grandi distese di grano maturo, il blu cupo del mare profondo, il nero delle lave dell’Etna, si ingentiliscono per la presenza dell’agave dalle foglie lunghe e carnose, coronate da brune spine minacciose, in contrasto con la possente gentilezza di questa pianta, quasi a voler confermare la leggenda paurosa che narra delle sue origini.

L’agave fiorisce, a seconda del clima, in marzo o in aprile ed è allora che appare nella sua più completa bellezza; su di un fusto che può giungere a cinque metri di altezza, si innalzano verso il cielo grappoli di fiori gialli ed i semi (‘i figghiòla) che cadono poi, col seccare del fusto.

A proposito della fioritura, i contadini siciliani dicono che l’agave si mantiene “schetta” (vergine) per molti anni e che un anno dopo “maritata”, muore.
La lunga castità dell’agave dura, a seconda della specie, da uno a due anni e una volta “maritata” esplode in tutta la sua bellezza fiorita, ma quell’ostentazione di bellezza precede di poco, inesorabilmente, la sua morte.

L’agave siciliana, come abbiamo accennato in precedenza, deve il suo nome ad una leggenda mitica ellenica, menzionata nel secondo e terzo “MYTOGRAPHUS VATICANUS”. Cadmo, fondatore e re di Tebe, ebbe quattro figlie: Ino, Autonoe, Semele ed Agave che, secondo il pensiero di Fulgenzio ed altri interpreti del mito, rappresentarono rispettivamente, i quattro stadi della propaganda bacchica e più precisamente: l’ubriachezza, la dimenticanza di tutto, la libidine, l’insania. Agave, che era sposata ad Echidne, uno dei guerrieri nati dai denti del dragone Castalio, durante una festa sfrenata di baccanti, trucidò il figlio Penteo.

Questa orribile ed allucinante tragedia e così ricordata da Ovidio; Bacco, per vendicarsi di Penteo che non aveva mai voluto riconoscerlo e adorarlo come Dio, durante la celebrazione dei suoi misteri, ispirò contro il giovane principe, alla madre ed alle due zie, Ino e Autonoe (non si comprende il perché Semele fu esclusa) un grande furore.

Mentre, ignaro della sua misera sorte, Penteo si recava al monte Citerone, le tre “vendicatrici di Bacco” gli si scagliarono contro, colpendolo selvaggiamente.
Penteo, disarmato e solo, cercò dapprima scampo nella fuga poi, vistasi reclusa ogni via di scampo, tentò di calmare la madre e le zie con parole di pietà, umili e tristi, ma Ino, d’un balzo, gli staccò la mano destra e Autonoe la sinistra: Guarda, o madre! Gridò Penteo gemendo di dolore e mostrando i moncherini sanguinanti.

Insensibile ai pietosi richiami, Agave, ormai in preda all’esaltazione ispirata dal vendicativo Bacco, scosse il capo, agitò i capelli al vento e dopo aver gettato un orribile urlo, di sua propria mano gli staccò di netto la testa, scagliandola poi in aria, accompagnando quel gesto orrendo con un urlo: “Evviva, compagne, questa impresa è gloria mia!”.

Anche se siamo convinti che l’orrenda leggenda dell’agave non fosse conosciuta dalle popolazioni isolane, questa pianta ha sempre generato i più strani pregiudizi o facoltà teomaturgiche. E’, ad esempio, un antidoto infallibile contro il malocchio e la jettatura.

Non è quindi raro che l’agave, quando è ancora piccola, venga posta in vasi tenuti sull’uscio di casa o sui balconi, sempre comunque ben in vista dall’esterno.

Giuseppe Pitrè, nel suo libro “Medicina popolare”, ricorda che a Marsala è diffusa la tradizione che sia sufficiente toccare un dente dolente, purché non cariato, con un aculeo di “zabbàra” (altro nome dell’agave di derivazione araba), raccolto un venerdì di marzo prima che spunti il sole, e messo a disseccare e conservato con la massima cura, perché il dolore scompaia rapidamente.

In Sicilia, la fibra dell’utilissima pianta, insieme con quella della specie chiamata , viene usata, in modo particolare nel catanese, in sostituzione del fragile e costosissimo giunco, per la costruzione del fondo di sedie e panieri, e quando non era stato inventato ancora il nylon, per fabbricare robustissime gomene per le navi.